Tecnica

I Materiali del Telaio: i Compositi

di Stefano Orazzini

ISOTROPICITA’ E ANISOTROPICITA’

Quando si parla infatti di fibre si sente spesso nominare la parola isotropicità del materiale. Per isotropicità di un composito s'intende infatti la capacità di comportarsi come un metallo rispetto alla direzionalità dei carichi. Spieghiamoci meglio.

Parlando di acciaio, alluminio e titanio non abbiamo mai accennato alla direzione di un carico in quanto i suddetti metalli, per la loro struttura cristallina uniforme, non facevano notare differenze nella risposta alla sollecitazione al variare della zona di provenienza del carico.

Immaginate ora ad un tessuto di filamenti di fibra annegati in una resina orientati tutti in una direzione (tessuto di fibra di carbonio unidirezionale), supponiamo sinistra-destra (fig.3).

Se cercate di spezzare il foglio prendendo l'estremo sinistro e destro (fig.4) la resistenza sarà massima in quanto la fibra, destinata ricordiamo a sopportare il carico strutturale, si opporrà longitudinalmente al carico;

Viceversa se prendessimo gli estremi alto e basso del "tessuto di composito", la resistenza sarebbe minima, in quanto solo la resina si opporrebbe alla sollecitazione dal momento che le fibre sono orientate nella stessa direzione del carico (fig.5).

Per fare una similitudine pensate ad una ricarica di punti metallici di una spillatrice: se provo a spezzarla nel senso dei punti metallici (fibre) avrò vita facile, in caso contrario dovrò faticare non poco ...

Questo tipo di reazione prende il nome di anisotropicità e sta a significare il diverso comportamento del materiale rispetto alla direzione dei carichi.

In principio si è cercato di ridurre il più possibile l'anisotropicità della fibra di carbonio, disponendo i filamenti su più strati, orientati in modo da creare una "ragnatela" indifferente alla direzionalità dei carichi; spesso infatti si utilizzava il metodo di disporre gli strati di fibra con un angolo di intersezione di 45° l'uno dall'altro in modo che, nella peggiore delle ipotesi, il carico più "infausto" avesse un'angolazione massima di 22,5° dalla direzione dei filamenti di uno strato.

In seguito, la ricerca spasmodica dell'isotropicità metallica si è andata affievolendo e si è cercato di sfruttare l'anisotropicità della fibra di carbonio per ottenere dai telai un rendimento ottimale variando la direzionalità delle fibre per ottenere rigidità, resistenza e elasticità laddove ce n'era bisogno.

Il massimo che il mercato può offrire è dato da quei costruttori che hanno progettato telai con una disposizione ragionata della fibra, aggiungendo spessore nelle zone di massima sollecitazione e orientando la fibra in modo da ottenere rigidità orizzontale (prontezza allo scatto e minima dispersione della forza) e elasticità verticale (minima trasmissione delle imperfezioni stradali e delle vibrazioni, ovvero comodità).

E’ chiaro come un telaio debba essere rinforzato e irrigidito in zone come il carro posteriore o la scatola del movimento centrale, in modo che la bici non fletta quando il ciclista si alza sui pedali per un scatto e non venga dispersa la forza applicata sui pedali. Allo stesso tempo si dovrà fare in modo che le vibrazioni provenienti dal terreno non arrivino alla sella e al manubrio in modo da consentire al ciclista una marcia confortevole.

Da tutto questo è chiaro come l'intervento del costruttore sia fondamentale e come qualunque dato inerente al rendimento meccanico di un composito sia relativo. Possiamo sicuramente affermare che se in un telaio in metallo la bravura di un costruttore incide per non più del 50%, in un telaio in composito croci e delizie sono tutte nelle mani esperte di chi lo progetta e lo crea, in particolar modo se si tratta di un monoscocca.

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